Quando parlo di “rinvio” intendo affermare che il contribuente può trovarsi al cospetto della disposizione alfa, la quale, nel definire la regola, richiama la disposizione beta, che talvolta può addirittura appartenere a un ordinamento diverso da quello nazionale. Esistono rinvii c.d. “fissi” e rinvii “mobili”.
Il rinvio è “fisso” quando la disposizione alfa richiama la disposizione beta nella configurazione che beta ha assunto nel momento in cui il rinvio è stato effettuato, dimodochè eventuali modifiche alla disposizione beta non si traducono in altrettante modifiche alla disposizione alfa. Si parla, invece, di rinvio “mobile” quando la disposizione alfa rinvia alla disposizione beta, rimanendo tuttavia esposta alle modificazioni che beta potrebbe subire nel tempo.
Quale che sia la natura del rinvio, il giudice che, per attribuire il torto o la ragione, utilizzi la disposizione alfa è costretto a decidere sulla base della disposizione beta, che da alfa, appunto, è richiamata.
2. - Ai miei studenti parlo anche dell’esercizio della funzione giurisdizionale e spiego loro, tra le altre cose, che “il giudice conosce la legge” (iura novit curia). Sul punto mi soffermo un poco.
Il giudice conosce la legge, ma non conosce i fatti economici rilevanti ai fini della tassazione.
Tali fatti devono essere provati a cura delle parti che vi abbiano interesse e il giudice è libero di convincersi o meno della loro esistenza, totale o parziale. Ad esempio, se una società di capitali intende dedurre il costo rappresentato dal compenso pagato ai propri amministratori, tale società deve dimostrare che l’esborso è concretamente avvenuto e che trova titolo, appunto, nella prestazione resa da persone le quali abbiano assunto la qualifica di amministratore della società.
Il fatto va pertanto dimostrato a cura delle parti, mentre il diritto, vale a dire la disposizione che su quel fatto deve essere calata, viene individuato dal giudice. Spetta a quest’ultimo il potere di intercettare, di volta in volta, la disposizione da applicare al caso concreto, anche se la parti, per errore, non l’abbiano invocata nei propri atti.
Quando affermo che il giudice ha il potere di individuare la disposizione che regola un determinato fatto non intendo dire che egli può far quel che vuole, ignorando apertamente la disposizione che regola un certo caso oppure scegliendo disposizioni non attinenti al caso che gli è stato rappresentato. Parimenti, quando dico che il giudice “applica” una disposizione, immagino che, prima di quella applicazione, egli si faccia carico anche della sua interpretazione. So bene che l’attività ermeneutica permette, talvolta, di operare con margini di manovra assai ampi. Ritengo, però, che tali margini siano destinati ad assottigliarsi, fino a scomparire del tutto, a mano a mano che la disposizione disvela un contenuto obiettivo.
3. - Mi sembra che queste brevi considerazioni si adattino perfettamente alla recente sentenza con la quale la nostra Corte di Cassazione (sez. trib., 18702/2010) ha affermato, ai fini IRPEG, l’indeducibilità tout court dei compensi pagati da una società di capitali, prima del 2004, ai propri amministratori.
La deducibilità di tali compensi era all’epoca regolata dall’art. 95 del DPR n. 917/1986, che così disponeva: <<Il reddito complessivo delle società (…) di cui alla lettera a) (…) del comma 1 dell’art. 87, da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito di impresa ed è determinato secondo le disposizioni degli artt. da 52 a 77 (…)>>. A sua volta, l’art. 62 del medesimo testo unico 917/1986 stabiliva che i compensi spettanti agli amministratori delle società di persone dovevano essere dedotti nell’esercizio della loro corresponsione. Vigeva, dunque, la regola di deduzione per cassa.
E’ difficile non rendersi conto che siamo al cospetto di un rinvio perfettamente riconducibile allo schema astratto al quale ho fatto riferimento più in alto, quando ho sostenuto che se la disposizione alfa risolve una questione richiamando la disposizione beta, beta diviene, per il soggetto che ricade in alfa, regola iuris. Se l’art. 95 richiama l’art. 62, la deduzione effettuata dalla società di capitali deve essere vagliata alla luce delle regole previste per la deduzione da parte delle società di persone.
L’art. 62 del TUIR, riferendosi ai compensi degli amministratori, qualifica tali componenti negative di reddito con l’espressione <<deducibili>>. Il contenuto obbiettivo di questa disposizione, per quanti sforzi si facciano, mi sembra granitico ed insuperabile. <<Deducibili>> significa che quei costi concorrono alla determinazione del reddito d’impresa, quale che sia la personale opinione del giudice. È vero che il giudice è padrone dell’interpretazione, ma quest’ultima non deve trasmodare in creazione del diritto e deve rispettare il contenuto obbiettivo della norma.