Il fascicolo n. 197 de Il Commercialista veneto (ottobre 2010), gratuitamente disponibile al link , pubblica, tra le altre cose, un trafiletto dal titolo L'<<Estro" fiscale.
L'Autore del trafiletto, grande estimatore di Antonio Vivaldi, se la prende un po' con il governo e con la pressione fiscale, proponendo, alla fine del giro, una ventata di aria nuova e finanche un po' di allegria nel rapporto Fisco contribuente.
Il trafiletto è stato avviato, forse con un misto di provocazione e ironia, con la citazione della oramai celebre frase pronunciata, qualche tempo fa, dall'On.le Tommaso Padoa Schioppa, secondo il quale le tasse sarebbero <<una cosa bellissima>>.
Il dato testuale è netto e inconfutabile, ma sembra difficile pensare che il pagamento di un tributo allo Stato o a qualche ente pubblico territoriale costituisca un atto capace di generare sentimenti di ammirazione nei confronti di qualcuno oppure senso di piacere per noi stessi.
Sotto questo punto di vista, il ragionamento del commercialista veneto non fa una piega e calza a pennello, così come non fa una grinza il vestito fatto a mano, su misura, dal più abile sarto.
In effetti, movendo dal dato lessicale e argomentando nella sola dimensione individualistica del rapporto Fisco-contribuente, le tasse potrebbero reputarsi "noiose", "pesanti", "complesse", "inique" e, in taluni casi, finanche "irrazionali". Non potrebbero mai, però, essere "belle". Tale aggettivo può adattarsi a un'opera d'arte, una sinfonia, una canzone popolare, una vacanza, una fuoriserie, un tramonto sul lago o una ragazza svedese. Non però a un tributo, che per la sua stessa struttura vive nella dimensione di ciò che è imposto (ed ecco la "pesantezza"), inesorabilmente calato dall'alto (l'"autorità") con conseguente effetto di decurtazione patrimoniale (l'impoverimento), pena l'applicazione di pesanti sanzioni.
Ma nel diritto, come nella vita, le affermazioni vanno prese con le pinze, adattate al momento in cui sono state pronunciate e , soprattutto, non estrapolate dal contesto argomentativo nel quale esse si sono formate.
L'ex Ministro delle Finanze non si è limitato a dire che le tasse sono "bellissime" e a toccare per questo, d'emblée, le più alte vette dell'impopolarità, ma ha aggiunto che si tratta di una cosa "civilissima", di uno strumento funzionale alla contribuzione, vale a dire alla ripartizione tra tutti i consociati delle spese comuni, che egli ha sommariamente individuato nella salute, nella sicurezza, nell'istruzione e nell'ambiente.
Scorporate dalla prospettiva del rapporto tra singolo contribuente ed erario (dove il primo tenta, quando può, di "fregare" il secondo), le imposte cessano di rappresentare un prelievo odioso e si trasformano, piaccia o non piaccia, in un simbolo della nostra appartenenza alla collettività.
Alla domanda <<perché paghiamo le imposte?>> la risposta sgorga cristallina: paghiamo perché ci troviamo nella condizione economica (di possessori di reddito, di consumatore, di proprietari di immobili, di investitori e così via) che ci consente di contribuire al bene comune attraverso il nostro personale sacrificio. Trasportata in questa dimensione collettiva, che è poi la dimensione solidaristica espressa dall'art. 2 Cost., l'imposta può anche essere "bellissima", perchè l'uomo vive nella società e dà senso, attraverso la società, alla propria dimensione individuale.
Il commercialista veneto tocca, in punta di fioretto, un profilo assai delicato del rapporto Stato-contribuente, vale a dire quello della pressione fiscale, che tutti potremmo definire, senza tema di smentita, insopportabile.
Codesta pressione, tuttavia, costituisce solamente il verso della medaglia, mentre nel recto è rappresentato dall'evasione: da un lato, molti affermano di pagare troppo al Fisco; dall'altro, quelli che se lo possono permettere non esitano ad evader, confidando nella fortuna, nel basso livello dei controlli, nell'inefficienza del Fisco, nella possibilità di aderire all'eventuale accertamento, se scoperti.
Orbene, l'art. 1 della Costituzione ci ricorda che la sovranità spetta al popolo, il quale la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Carta fondamentale. Se la collettività stabilisce, attraverso il legislatore (consenso), che si concorra alla spesa comune in base al reddito o in base al patrimonio e se tali fatti economici sono in tutto o parzialmente nascosti al Fisco da parte di chi non intende contribuire, l'effetto non potrà che essere di alterazione degli indici di riparto predeterminati da quel gruppo sociale: la spesa pubblica finirà per essere ripartita tra i soli contribuenti che dichiarano di aver realizzato il presupposto per l'applicazione del tributo, con esclusione di coloro che, pur trovandosi nella medesima condizione, hanno nascosto la propria ricchezza.
Per questo motivo l'evasione costituisce un vero e proprio sfregio all'idea di "comunità" . E allo stesso risultato si perviene mediante condoni, transazioni e scudi fiscali di ogni sorta, i quali finiscono per alterare le regole di questa contribuzione, permettendo a chi ha generato un reddito di versare un'imposta inferiore rispetto a quella dovuta sulla base del criterio di riparto fissato, ex ante, dal legislatore.
Vado diritto alle conclusioni: con riferimento alle "tasse" e alla granitica affermazione dell'On.le Padoa Schioppa, l'aggettivo da sottolineare non è "bellissime", ma "civilissime".
Le tasse sono "civilissime" perché chi dichiara i fatti economici realizzati e fa il proprio dovere è parte attiva della comunità, ne è il sostenitore e, ad un tempo, il protagonista. Per contro, chi evade non si limita a versare di meno rispetto a quanto dovrebbe: l'evasore danneggia tutti gli altri consociati, costringendoli, in un modo o nell'altro, e nel tempo, a farsi carico di una quota aggiuntiva di spesa pubblica.
Le "tasse" non sono in sé "irrazionali" e "inique". Sono inique tutte le fattispecie di evasione e tutte le disposizioni fiscali che, intervenendo dopo che la legge di riparto ha prodotto i propri effetti, immettono nel sistema tributario il germe della disparità di trattamento e, pertanto, dell'ingiustizia.